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Food a Rule of Art - Conversation with Davide Maria Oldani

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Anche noi a ‘Cibo a regola d’arte’. Del resto non si può mancare agli eventi di cucina: per migliorarsi bisogna essere sempre aggiornati e per farlo al meglio l’unico modo è esserci; se poi l’evento in questione è  prodotto da RCS e supportato da Expo 2015 allora è un dovere presenziare.

Difficile che qualcuno ancora non sappia di cosa si tratta, vista la diffusa pubblicità promossa, in ogni caso, per quei pochi rimasti, ricordiamo essere un percorso di incontri, laboratori e degustazioni dentro la cultura del cibo, ospitato dal ‘Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci’ di Milano, fra il 14 e il 23 marzo.

L’agenda della manifestazione è molto fitta, per questo sarebbe impossibile presenziare a ogni incontro, per quanto interessante; decido quindi di concentrarmi sulle conversazioni: la prima venerdì 14 con Davide Maria Oldani e Piero Galli (Direttore Generale Divisione Gestione Expo Milano 2015) mediata da Dario di Vico, la seconda venerdì 21 con Carlo Cracco e Matteo Gatto (Direttore Aree Tematiche Expo Milano 2015) moderata da Beppe Severgnini.

 

Di seguito, ecco il report sul primo incontro.

Venerdì 14 arrivo con nettissimo anticipo (non dirò l’orario per evitare l’ilarità generale), perché proprio non intendo perdermi l’incontro, e sapendo che Sala Biancamano non è troppo capiente e l’ingresso è libero, temo di rimanere esclusa. Fortunatamente sono fra le prime a entrare e mi accaparro un posto in prima fila, giusto per avere una prospettiva ottimale.

Dario Di Vico, giornalista del ‘Corriere della Sera’, apre il dibattito, prendendo come spunto un dato molto interessante: in un anno di profonda crisi come il 2013, la produzione e vendita dei formaggi italiani è cresciuta.

Piero Galli è il primo a prendere parola, sottolineando quanto il dato sia importante come esempio di un miglioramento nell’ambito dell’eccellenza alimentare italiana, rammaricandosi però del fatto che se è vero che l’Italia esporta cibo per 35 miliardi di Euro, è altrettanto vero che ne importa per 30 miliardi, sintomo che qualcosa proprio non funziona e che la strada per la crescita e il miglioramento è ancora lunga. Purtroppo i dati non sono incoraggianti, visto che la spinta deve partire dall’interno e nel nostro Paese c’è stato un vero e proprio crollo dei consumi, pari a 115 miliardi di Euro. Da notare è che in questo stesso anno, gli obesi abbiano superato nel mondo i sotto nutriti: dati incoerenti che denotano una cultura del cibo totalmente errata non solo in Italia ma in tutto il mondo. Expo, spiega Galli, sarà la vetrina dell’Italia per sei mesi ed è quindi un dovere sfruttare al meglio questa opportunità di farci guardare dal mondo intero.

A questo punto, Oldani prende parola e conquista la mia attenzione già dai primi pensieri. A parer suo infatti la crescita dei formaggi è un dato importante per sottolineare che i prodotti artigianali in Italia (parla di prodotti artigianali, mai di ‘Made in Italy’ che ritiene un’espressione antiquata) rimangono un’economia importante sulla quale puntare; se infatti gli chiedessero di scegliere se investire sulle persone o sulla meccanicizzazione dell’industria, non avrebbe dubbi che la prima sarebbe l’opzione migliore. Il capitale umano e la tradizione sono il motore: vanno rinnovati certo, ma soprattutto aiutati a crescere. Il passo fondamentale è però la promozione del consumo interno dei prodotti stessi che vengono fabbricati nel nostro Paese. La domanda che Oldani si è posto è infatti molto semplice: perché obbligarci ad esportare? Prima di tutto è fondamentale investire dove si produce e solo in un secondo momento passare all’export.

Di Vico sembra contrariato, tanto che specifica che se è vero che i prodotti finiti nascono nelle aziende italiane, è anche vero che per le materie prime dipendiamo in larga parte da Stati esteri: uova, polli e uva da vino provengono da allevamenti e colture italiane ma latte e carne no. Difficile, aggiunge, ritenere la nostra Nutella un vanto se le nocciole vengono importate, esattamente come la carne per la bresaola. La vera forza italiana è la cultura della trasformazione sia industriale che artistica, che si traduce nel lavoro dei cuochi.

Oldani si trova d’accordo sull’importanza dei cuochi italiani, avendo loro aggiunto valore ai prodotti.

Galli conferma il punto chiave della conversazione, quello su cui si trovano d’accordo, ovvero che la ricchezza nazionale è costituita dall’artigianìa, una vera e propria arte, sulla quale puntare attraverso il turismo. Con Expo si stima l’arrivo di ben 20 milioni di persone ma il vero scopo non è l’esposizione universale ma bensì la promozione del nostro Paese.

Oldani puntualizza che il principio chiave per la crescita è prima di tutto la tutela, in quanto le risorse acquisiscono maggior valore se godute nel paese d’origine. Attrarre quindi i turisti è fondamentale per portarli nei nostri ristoranti migliori, esattamente come li si attrae per una visita al Colosseo. Lo chef adduce un esempio, che è quello di Oscar Farinetti, patron di Eataly, che ammira per il format riuscito della sua catena di shop in tutto il mondo, ma aggiunge che lo scopo fondamentale è quello di portare in Italia le persone, per fargli gustare qui i prodotti che Eataly per primo vende all’estero, in quanto acquisiscono un altro significato se consumati nel Paese d’origine, cucinati secondo la nostra tradizione, nella nostra terra. I criteri per passare poi all’export dovrebbero essere regolamentati da chi fa le leggi per poterli promuovere nel modo corretto.

Di Vico non sembra d’accordo sull’investimento in Italia prima che all’estero e come esempio cita la Germania, che esporta più di noi.

Oldani ribatte con un esempio chiarificatore: se è vero che la Barilla produce anche per l’America, lo fa direttamente in loco, mentre la produzione per l’Italia avviene all’interno del suolo nazionale, in quanto i criteri per produrre la pasta per i due diversi stati sono differenti e necessitano di diverse materie prime, a seconda della cultura culinaria del rispettivo Stato.

Galli puntualizza, per mediare, che le due visioni non si escludono ma che sia import che export dovrebbero essere promosse. Il vero problema è il tipo di ospitalità fornita: in tutta Italia infatti si ha un flusso di turisti di circa 48-49 milioni ogni anno, pari a quelli che in Francia transitano nella sola Parigi. La presunzione di chi fa turismo in Italia è stata quella di poter continuare a vivere come si faceva negli anni in cui ci si è  'riempiti la pancia', pensando di poter continuare così senza rinnovarsi né promuoversi nuovamente, adattandosi alle esigenze dei turisti stranieri, che ormai chiedono la macchina del tè nella camera d’albergo, invece dell’espresso al bar.

Data l’atmosfera tesa, lo chef decide a questo punto di sdrammatizzare chiedendo a Di Vico di quale ricetta necessitasse, così su due piedi, per destare i risolini generali di chi come me ha apprezzato questo intermezzo di leggerezza, prima di riprendere il dibattito.

Di Vico si unisce ai sorrisi e poi incalza Oldani con una nuova domanda, circa il rapporto fra la sua cucina e i prezzi stabiliti.

Il suo interlocutore tende a sottolineare che la sua attività di ristoratore con l’apertura del D’O a Cornaredo è stata avviata in un periodo in cui di crisi si sentiva soltanto parlare come una possibilità, non era un fenomeno radicato come quello che stiamo vivendo gravemente oggigiorno e chiarendo che, con i tempi che corrono, purtroppo non si può prescindere dal fatto che lo scopo ultimo del suo lavoro sia portare clienti al locale e quindi far quadrare i conti. Per fare in modo che però il D’O potesse essere accessibile (e qui viene interrotto da Di Vico che chiede una specifica: ‘Stai parlando di accessibilità di prezzo?’, domanda alla quale risponde che l’accessibilità in questione è ‘di gusto’), ha seguito dal 2003 ad oggi una regola fondamentale: la valutazione del territorio, ovvero l’adeguamento ai prodotti locali, ma anche nazionali, in base alla stagionalità. Gli alimenti adottati nella sua cucina provengono solo dall’Italia e lo scopo della sua cucina è quello di studiare un menù in base alle possibilità che tali prodotti offrono. Più volte, ammette, gli è stato chiesto di aprire in franchising, ma ritiene impossibile ricreare la stessa cucina in posti differenti. Ben diverso sarebbe aprire un altro ristorante che però prenda forma in base alle persone che vi lavorano e danno vita a un’intensa attività di studio. Aggiunge poi il suo dissenso rispetto al pessimismo generale che è andato creandosi e che non aiuta, specialmente se ad aggravare la situazione vengono fornite agli italiani spiegazioni in ‘politichese’: lo chef intuisce la necessità di farsi ascoltare da molte persone e quindi parlare in modo chiaro e semplice, in modo da ottenere un ritorno positivo. In relazione all’importanza di rendere accessibile la sua cucina, ricorda con orgoglio l’invito all’università americana di Harvard, dalla quale era stato chiamato per parlare del rapporto gusto-prezzo. Per concludere il tema, aggiunge che il complimento che preferisce ricevere dai clienti del D’O sia il fatto che, data la qualità proposta, i prezzi siano bassi.

(E qui vi assicuro essere nato spontaneamente un applauso)

Galli condivide e porta al riguardo un esempio interessante, inerente all’organizzazione di Expo: egli spiega infatti che l’offerta culinaria proposta nei diversi padiglioni sembra essere assolutamente incoerente coi prezzi che gli stessi espositori stanno adottando. Per spiegarlo, paragona il fatto che sai corretto che Oldani offra un’esperienza di gusto e commisuri il prezzo a tale esperienza, ma molti Paesi che esporranno stanno puntando al solo pretesto dell’evento per alzare i prezzi e facendo dell’incoerenza fra offerta e spesa un dato negativo ma persistente, che segue una mentalità tutta estera difficilmente condivisibile, secondo la quale si deve far pagare l’accesso all’evento in termini di fisicità, di presenza, rendendo irrilevante il senso vero e proprio dell’esposizione. Si tratta in realtà di un fattore culturale che deriva da una mentalità per cui o si spende molto o le cose valgono poco, una visione che non valorizza l’esperienza culinaria, ma che si sta cercando di modificare con estrema difficoltà.

Oldani  riporta il discorso alla cucina, spiegando che ai tempi in cui aveva iniziato a lavorare, i nomi di spicco erano pochi, mentre oggi si è formata una vera e propria community di cuochi di altissimo livello, nella quale si include, e che costituisce un motore da alimentare, da appoggiare e motivare per una crescita costante, ma anche una risorsa per ripartire.

A questo punto, a Galli viene in mente un episodio emblematico riguardo all'importanza che il cibo ha acquisito negli ultimi anni . Il bando per la creazione della mascotte di Expo, spiega, venne vinto dai disegnatori Disney, specializzati nei cicli, in quegli studi sui personaggi più in voga in un determinato periodo, e così come avevano individuato nella magia il filone di riferimento dei ultimi dieci anni, ora stanno iniziando a puntare sul cibo per il periodo che si sta aprendo, proponendo appunto come mascotte dell’evento ‘Foodie’, un pupazzo composto da frutta e verdura.

Di Vico cambia argomento e chiede quindi un parere a Oldani sul fatto che Barilla e Mac Donald abbiano iniziato a produrre insalate di pasta, cogliendo lo chef impreparato sull’argomento: Oldani ammette di non aver seguito la vicenda, ma tutto ciò che può dire è che si trova d’accordo nell’eventualità che l’iniziativa sia stata promossa per favorire la promozione della qualità dei prodotti, non per il guadagno.

Si torna poi a parlare di cuochi e a cosa rappresentino nel sistema italiano, ma soprattutto del loro ruolo in confronto a quello di Oscar Farinetti e se si possa considerare la loro come una sorta di ‘supplenza’.

Galli ritiene che siano due figure ben distinte e che a Farinetti si possa tributare il merito di aver promosso un format rivelatosi poi vincente, in un formato unico, positivo riguardo a molti temi come ad esempio quello della biodiversità. (Qui apre una parentesi, ricordando che anche a Expo verrà affrontato largamente questo argomento, tanto che gli verrà dedicato un padiglione intero. Aggiunge poi che il problema delle grandi distribuzioni industriali è stato quello di aver letteralmente ammazzato questa biodiversità: a dimostrazione di ciò, ricorda che se a inizio ‘900 i tipi di mele consumati si stimavano in numero di 100, all’incirca, al giorno d’oggi si limitano a 7-8) Il punto di forza dei cuochi invece, è quello di essere detentori di un’importante e consistente cultura culinaria: il rapporto è biunivoco, la cultura attira chef di livello e viceversa.

Oldani dà il suo contributo, aggiungendo una spiegazione di quello che al giorno d’oggi viene chiamato laboratorio di ‘Ricerca e Sviluppo’ (R&D, ovvero Research and Development in inglese) che serve per investire nel proprio lavoro, permettendo un’attività di più lunga durata, ma puntualizzando che l'interesse per questo studio debba essere alimentato dai cuochi stessi proprio qui, in Italia.

Galli interviene e specifica però che il tema della promozione dell’appoggio alla cultura del cibo non può che essere fomentato all’estero.

Oldani ribatte che i cuochi migliori di un Paese spesso rimangono nella propria nazione, come i francesi si fermano in Francia, gli spagnoli in Spagna e gli italiani in Italia, quindi tale promozione non può che partire dall’interno, visto che il sempre più consistente gruppo di cuochi di spicco sono un vero e proprio fiore all’occhiello della nostra nazione che va salvaguardato.

Di Vico pone un’ultima domanda prima della chiusura, chiedendo allo chef un commento sulla sua cucina, quella ormai universalmente definita ‘pop’.

Oldani risponde con sicurezza anche questa volta, specificando che il suo lavoro non è solo il servizio del cibo, che si gusta ma finisce, ma è la consistenza, l’attenzione costante a tante piccole cose che rispettano la persona, i collaboratori con cui si lavora quotidianamente, e ai quali bisogna permettere di operare nelle condizioni migliori. Tanto per promuovere un po’ di sana pubblicità, Oldani spiega che, a tal proposito, all’imminente Salone del Mobile verrà presentata una linea da lui personalmente disegnata di 12mila pezzi che puntano all’efficienza dell’utensile adottato per lavorare, più che al suo valore estetico.

Prima di congedarsi offre poi un assaggio di pasta di riso dell’azienda Viazzo, che fornisce prodotti di alta gamma, totalmente italiani, e in questo caso pertinenti con Expo: crudi, quindi facilmente fruibili, e qualitativamente ottimali.