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Author's drawing room

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La ricetta del lounge Blush di Lodi spiegata da Diego Ferrari.  Uno talmente patito di cocktail da farsene tatuare quindici sulla pelle

di Stefano Nincevich

21 Maggio 2012

Diego Ferrari del Blush di Lodi ha il cocktail tatuato sulla pelle. Non è un modo di dire, ma la verità nuda e cruda. In pochi anni la sua epidermide, sui toni di quella di Dracula, si è colorata di quindici tatuaggi a tema: una pin up a bagno nella coppa martini, un bicchiere polinesiano, un gallo cedrone (cock-tail). E poi un parafernalia composto da shaker, misurino, limone, cucchiaio forato per l’assenzio, macchina da tatuaggi e da cocktail e il logo del Nottigham Forest di Dario Comini, che considera il suo mentore. L’avrete intuito: fare cocktail per Diego Ferrari è una questione di pelle. Questa passione l’ha portata come dote nei vari locali dove ha mescolato, da Lodi a Londra e ancora a Lodi. Ma più di tutto, più del suo Tattoo Machine Cocktail o dei drink accompagnati dai fiori del curaro, ciò che l’ha sempre affascinato di questa professione è il culto dell’ospitalità. Ospitalità al centro «Detesto gli ambienti freddi, quelli che quando entri ti senti indifeso come se ti trovassi nudo nel Bronx. Mi piace mettermi a disposizione degli altri e su questo ideale ho improntato tutto il nostro lavoro». Al Blush l’ospitalità si traduce in piccoli gesti che riescono a catturare il cuore del pubblico. Se l’ospite ha le idee confuse su quale distillato scegliere per il dopo cena, il bartender incaricato si prende una pausa, raccoglie una selezione di 4-5 bottiglie dal banco e le porta al tavolo del cliente dove propone assaggi di questo o quell’altro prodotto. Il tasting è abbinato a una selezione di cioccolato (nel caso di rum) o ai taralli per i whisky. «Non abbiamo una selezione di distillati inarrivabili, ma cerchiamo di esaltare i buoni prodotti della casa. Contano due fattori su tutti gli altri: conoscere a menadito i prodotti e saperli promuovere con eleganza». Come diceva lo slogan: non serve un pennello grande, ma un grande pennello. Si cambia faccia all’occorrenza Il Blush, lounge e ristorante bello dentro e meno fuori considerando che si affaccia su un viale trafficato, è frutto di un magistrale lavoro di riprogettazione, terminato la scorsa estate, firmato dall’architetto Alberto Scorletti. Centoventi metri quadrati con luci soft, nei quali trovano spazio un caratteristico banco dalla forma ondulata con tre postazioni di lavoro e divanetti in pelle per un totale di 42 sedute. «Lo spazio - racconta Diego Ferrari - è modulare. La zona dei divani è spesso utilizzata per ospitare feste di celebrazione. Tre volte su quattro gli ospiti dei tavoli ordinano una bottiglia, ma non è insolito che chiedano un cocktail. È capitata una compagnia che ha ordinato trenta miscelati diversi». Quando il banco è preso d’assalto (nel weekend si arriva a punte di 400 cocktail) si ridistribuiscono gli incarichi tra banco e sala, ma senza fretta. «Non siamo una fabbrica del cocktail, cerchiamo di accontentare tutti rapidamente, ma puntiamo sempre sull’artigianalità della proposta. Per lavorare bene, nell’interesse del cliente, è necessario prendersi i tempi giusti». Da rilevare che tra i pezzi più richiesti della collezione Ferrari e del suo compagno di banco Fabio Soresini, ci sono cocktail facili per chi li fa e per chi li degusta. Tra questi il Big Apple (un sour presentato nell’old fashion a base di vodka alla mela e Midori), il Fonzie (Montenegro, succo di limone, ghiaccio pilé, ciliegina al maraschino) e lo Spritz, che la domenica sera fa da solo il 50% delle comande. I prezzi sono in media intorno agli 8 euro, tranne per alcuni cavalli di battaglia di Diego Ferrari che arrivano anche a 12- 14 euro. Nella sezione degli speciali troviamo il Vendemmia Drink, un vodka drink con aggiunta di mosto d’uva e di succo di cranberry. E poi ci sono i marchi registrati da Dario Comini come i drink accompagnati da fiori del curaro e il Daiquiri Frozen ai fiori: rum scuro e cranberry con fiori edibili. Un tributo al Flower Power.