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Un semplice assaggio.. un po' amaro

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A meno di un anno dell’Expo sembra che tutti stiano impazzendo per l’alta cucina, gli chef, gli show cooking, così come sembra che siano tutti intenditori, ma quanto c’è di vero in tutto questo? Per capirlo, si poteva fare un salto nel week-end al Taste of Milano.

Cos’è? Un evento annuale che quest’anno, per il secondo consecutivo, ha preso luogo a Superstudio  Più di via Tortona. Non si sa bene come ma tutti stanno impazzendo per questa location e ormai se vuoi fare il figo devi esporre lì dentro, ma non esiste ragione. Entrando poi si respira un’aria fieristica da sagra paesana in cui tutti propongono ‘assaggini’ per invogliarti a comprare i prodotti a prezzi stracciati.

Lo scopo dell’evento doveva essere quello di dare più visibilità a ristoranti stellati selezionati, dando la possibilità a tutti di assaggiare le creazioni di top chef in piccole quantità a prezzi ridotti. In pratica alle casse si poteva acquistare una tessera da ricaricare con un minimo di 10 Euro, senza limiti, in multipli di 5, e consegnandola poi agli stand dei ristoranti la si utilizzava per pagare, facendosi scalare il costo dell’appetizer, che variava da 4 a 5 a 6.

Noi abbiamo assaggiato tanti piatti ma il giudizio non sempre è positivo.

Non male la patata sottoterra (uovo barzotto, patata affumicata, mornay al parmigiano, terra) del ristorante il Piccolo Lago dello chef Marco Sacco anche se patata è e patata rimane: voto 7.

Ottimi i ravioli capresi con pomodorini e basilico del Larte di Andrea Migliaccio: voto 9.

Incomprensibile la caramella di pollo con farina di riso e gambero in gelet di barbabietola affumicata e terra di frolla con gocce di fondo bruno dell’Alchimista di Misha Sukyas: ve lo garantisco, sembrava granchio! Se poi si pensa che lo si è pagato 5 Euro ed era presentato veramente male, allora non c’è altro da aggiungere che il voto non può che essere basso: per noi è un 4.

Alte erano le aspettative anche per il Finger’s Garden di Roberto Okabe, ed è vero che forse era meglio assaggiare il Yuke-Don-Wagyu (tartare di Kobebeef con uovo di quaglia perfetto, riso sushi e wasabi fresco), ma noi abbiamo tentato con il Ghyosa Chicken Special (Ravioli di pollo in salsa Finger’s) che purtroppo era estremamente piccante: non ci siamo, voto 4.

Spostandoci poi verso gli stand più centrali troviamo l’Ilario Vinciguerra Restaurant, dello chef omonimo, e ci lasciamo andare alla carne di bovino marinata al sale, pinoli e grissini croccanti, davvero ottima sia al gusto che all’aspetto (voto 8), ma rimaniamo delusi dai conchiglioni ripieni di ricotta di bufala su letto di salsa di pomodoro San Marzano (voto 5): meno male che li hanno decretati piatto migliore del Taste!

Proprio a fianco c’era il ristorante Asola, ‘Cucina Sartoriale’, di Matteo Torretta, ubicato nel Brian&Barry Building, del quale abbiamo provato  i fusilloni di Gragnano con crema di fagioli cannellini e tartare di cozze: all’aspetto non male ma anche questi piccanti! Ma lo vogliono capire che troppo pepe copre i sapori?! Voto 5.

Infine ci facciamo ingolosire dal fiore di zucca con crema di ricotta e alici del ristorante La Parolina di Iside de Cesare: altra delusione, voto 5.

Fortuna che proprio di fianco c’era l’Acanto dell’Hotel Principe di Savoia con il suo morbido ai latticini con ricotta di Paestum, mirtilli disidratati e lampone all’aceto balsamico: una delizia per gli occhi e il palato, voto 8.

Se poi per un giorno aveste preferito bere una buon cocktail invece del solito vino allora era il caso di fermarsi da Drinkable, per assaggiare un ottimo Bloody Mary o un Americano con spuma di caramello salata: eccezionale. Un po’ meno invece il Gin (o in alternativa Vodka) Zen del Rita: davvero troppo piccante.

In definitiva: location non adeguata, ristoranti limitati dal format, non male i seminari e i corsi di cucina, troppi stand brandizzati. Molto interessante però il ‘tavolo delle meraviglie’: un lungo tavolo dove ogni ora era possibile partecipare a degustazioni al buio o atre iniziative.

Nel complesso: voto 6.