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Simone Caporale: quando l'apparenza non inganna.

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Mesi fa chiesi a Simone se fosse disposto a rispondere ad alcune mie domande, visti i notevoli risultati che stava ottenendo professionalmente. La sua mail di risposta mi arrivò nel giro di mezz’ora ed era gentile e interessata, nonostante l’avessi disturbato nel bel mezzo di una vacanza spagnola; fu in quel momento che ebbi la conferma di ciò che sospettavo da tempo: per essere grandi e raggiungere grandi risultati basta avere passione per ciò che si fa, amare il proprio lavoro e trasmettere questi sentimenti a chi ci circonda, che siano clienti, amici o qualcuno che vuole seguire la nostra stessa strada.

Leggendo le risposte alle domande che seguono scoprirete che gli ingredienti che compongono la ricetta del successo sono semplici e autentici.

 

Quando hai deciso di andare all’estero, perché hai puntato su Londra e non su un’altra città?

Londra da secoli raccoglie molte culture, anzi la maggior parte, e molte correnti di gusto e abitudini del bar si sposano bene in questa città, data la sua internazionalità e il suo carattere cosmopolita. Siamo sempre in Europa e non dall’altra parte del mondo, in due ore di aereo si può essere in qualsiasi altro paese dell’Europa, la comunicazione è facilitata e ci sono più probabilità di avere una grande visibilità più che in altre grosse città, per lo stesso motivo: qualsiasi cosa succeda a Londra, viene saputo subito in tutto il mondo.

Quanto è stato importante incontrare Alex?

Incrontrare Alex è stato molto importante per me. Auguro a tutti i bartender che si prendono a cuore il nostro lavoro di conoscere una persona come Alex nella loro carriera.

Se non dovessi lavorare all’Artesian, in quale altro locale ti piacerebbe inserirti? Mai pensato di metterti ‘in proprio’?

Ci sono molti progetti che stiamo mettendo a punto Alex ed io, per il futuro...

Cosa ha significato per te essere stato decretato migliore bartender del mondo al Tales of the Cocktail 2014?

Un’immensa soddisfazione, ma soprattutto una grossa responsabilità nel promettere a me stesso di continuare a migliorare il mio lavoro in futuro, reinventandomi sempre e spingendo ancora oltre la mia creatività senza vivere sugli allori; mi piace anche poter cercare di tenere alto la bandiera italiana insieme ai tanti colleghi italiani all’estero.

Quando è iniziata la collaborazione con Jamie Oliver e qual è il progetto di questa cooperazione?

Dopo aver fatto dei filmati insieme per Class Magazine e Channel4, io e Jamie abbiamo instaurato un rapporto d’amicizia. A seguito di queste esperienze, mi ha ricontattato per un provino e ora, parallelamente alla sua cooperazione con Bacardi, ne ha costruita una con me per i prossimi 3 anni.

Sei molto giovane e hai già raggiunto la vetta del mondo del bartending internazionale: qual è stato il tuo maggiore punto di forza per raggiungere questi risultati?

Credo che nel raggiungimento di questo obiettivo sia stato determinante il fatto che qualsiasi cosa abbiamo svolto in questi anni con il team dell’Artesian, lo abbiamo fatto puntando a trasmettere un’esperienza speciale ai clienti del locale e ai colleghi di tutto il mondo che hanno partecipato alle Masterclass. Quello era il nostro goal. Abbiamo voluto e avuto la possibilità di fare le cose con il cuore come volevamo noi. Dicendo questo non significa che abbiamo sempre avuto il supporto degli sponsor, ma facendo delle attività o svolgendole con passione siamo stati disposti a fare degli investimenti e dei sacrifici spontanei da parte nostra; sono anche arrivati dei premi ma non era quello lo scopo. Fa sempre piacere ricevere un premio, ma quello più grande per me è vedere che il bar funziona bene, che c’è un buon lavoro di squadra e che si sviluppa nuova creatività condividendo coi colleghi: questa è per me la vera realtà, quella in cui credo.

Parliamo un po’ del bartending di oggi… Cosa pensi significhi vincere una competizione?

Una competizione dà molta soddisfazione personale se vinta, ma ad essere sincero la cosa più importante per me è partecipare e vedere tutto quello che i colleghi fanno e presentano; una competizione è un ottimo momento per mostrare il proprio stile, il tipo di lavoro che si svolge. Ricordo che la prima volta che Alex mi ha visto lavorare fu ad una competizione: eravamo in 36, io mi classificai 35esimo, ciò nonostante avevo attirato l’attenzione di chi poi mi avrebbe offerto di lavorare all’Artesian. Non ci sono competizioni perse, ci sono solo competizioni a cui non si ha partecipato, questo è certo. Sono sempre stato più motivato quando non ho raggiunto buoni risultati in una gara, perché pensavo subito a come migliorare la mia performance in quella successiva.

Anche il bartending subisce il fascino delle mode passeggere, ma cos’è che nel bartending non è mai tramontato, almeno da quando hai iniziato tu?

È un lavoro che deve essere fatto con passione e voglia, è molto soggettivo e personale, sono sempre stato incuriosito dalle mode ma ho sempre cercato di prenderle un po’ con le pinze perché so che non durano molto, invece uno stile può durare più a lungo. Basti pensare all’architettura, certi stili sono vivi da secoli, quindi l’importante per me è non dimenticarsi mai che ogni giorno bisogna pensare a come migliorare il proprio lavoro.

Cosa consiglieresti a un giovane che si appassiona a questo mestiere e che vorrebbe crescere?

È un mestiere che deve essere preso sul serio come tutti gli altri, sempre che si voglia ottenere un buon  risultato; ma nel bar in particolare, prendere sul serio significa essere seri, ma sempre con il sorriso! Si pensa sempre che il successo di un bar sia dovuto a quanti soldi si investono, ma la verità è che decine di imprese investono fino a milioni di euro e poi chiudono dopo 2 anni. Dietro al successo di un bar c’è duro lavoro di squadra, passione e prendersi a cuore ogni dettaglio di quello che si fa, studiare, lavorare sodo e costruirsi un profilo nella comunità del bar che rispecchi veramente quello che si è, mantenersi impegnati lavorando dietro al bar e non trovando scuse, ma soluzioni.

Qual è la soddisfazione più grande che hai vissuto nella tua carriera?

I bar e i ristoranti si riempiono di clienti a cui piace uscire e stare insieme, passando bei momenti divertendosi, a me quello che veramente piace è stare lì, al bar, e vedere succedere tutte queste cose davanti a me, questo è il mio divertimento, quello per cui vivo, professionalmente parlando. La cosa più importante per me quindi è vivere questa realtà del bar, niente di più.

 

Così, a un solo giorno di distanza dalla masterclass che Simone ha tenuto a Riccione, quello che mi sento di aggiungere è che oltre alla competenza, alla cultura e allo studio che persegue costantemente nel suo lavoro, Simone è un ottimo motivatore e sa catturare senza sforzo l’attenzione del suo pubblico, anche di chi come me ha trovato il suo posto di fronte al banco e non al di là. Tutto ciò gli è possibile anche grazie agli innumerevoli viaggi in giro per il mondo, nei quali ha catturato l'essenza di culture lontane, esotiche e a volte dimenticate, cercando il modo di racchiuderle dentro a un bicchiere: dal vapore acqueo nei drink che ricorda le nuvole che ricoprono le cime dei monti sud-americani, a quello che sa di cuoio invecchiato in otri che vengono dalla Spagna ricoperte di bacche di ginepro e pino, ai sottobicchieri a forma di panda che fanno vendere i drink per la curiosità estetica, fino ad arrivare ai cocktail serviti nelle ananas dorate nelle quali 'si può servire qualunque cosa perchè in ogni caso il cliente lo vorrà per come si presenta', così spiega, ed è vero, visto che il nome di questo drink è 'Camouflage', visto che dentro al bicchiere si trova di tutto tranne che il sapore di ananas e quindi il nome fa capire che quello che si vede non è quello che si assapora. Spettacolare.

Grazie Simone.