| In cucina

Intervista ad Allan Bay

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Quando si intervista una personalità della sua importanza nell’ambito della cultura alimentare si corrono molti rischi, tra cui quello di fare molte domande che spaziano a 360 gradi, cercando di ricostruire un abbozzo della personalità dell’intervistato, che alla fine non apporta spesso niente di nuovo a quello che già si sa. Pertanto se non le dispiace, se è d’accordo, io mi vorrei invece focalizzare su alcuni aspetti da lei trattati negli anni cercando di capire meglio il suo pensiero.

Questo mi sembra un ottimo approccio.

Partiamo dai suoi libri più popolari, quelli  della serie Cuochi si diventa. Io li ho letti così: cambiano molto le ricette, ma non cambia l’approccio sostanziale che io ho interpretato in questo modo. Non sentitevi in condizioni di inferiorità rispetto alle vostre nonne, quell’Italia regionale e integralista del rispetto dell’autentica cucina di tradizione non  esiste più, ma  questo non impedisce di riuscire a concepire delle ottime ricette di ispirazione territoriale, ponendo attenzione alla qualità degli ingredienti e alla conoscenza delle tecniche e delle cotture Ho capito male?

No, la chiave di lettura mi sembra corretta. Lei parla di ottime ricette di ispirazione territoriale, io enfatizzo il concetto di ispirazione: di una vecchia ricetta bisogna salvare l’anima, non la forma. Io ho cercato di trasmettere questa mia convinzione:  conoscere le tecniche, che in cucina è tutto, e conoscere come bilanciare gli ingredienti – il resto segue. Io ho cercato di far comprendere l’importanza della tecnica, delle procedure di cottura, questo è l’approccio con cui ho progettato questi libri, che sono completati da una parte più narrativa.

Credo che chi è competente nelle procedure e nelle tecniche, anche se può prediligere l’esecuzione di alcuni piatti rispetto ad altri, è competente in tutto, chi invece esegue sempre lo stesso piatto anche alla perfezione, non può essere considerata persona che sappia cucinare, è sempre un cuoco a metà.

Un'altra esperienza molto interessante credo che sia la collana di libri Il lettore goloso che lei dirige per Ponte alle Grazie, anche in questo caso, mi pare di capire che lei ama mescolare passato e presente, territori e culture. Si passa da libri sulla cucina giapponese alle erbe selvatiche, dalla cultura medio-orientale alle mele ecc…

Quando imposta un nuovo titolo, pensa prima all’argomento e quindi sceglie l’autore che lei ritiene che meglio possa interpretare quel tema, oppure sceglie l’autore in base alle sue preferenze e poi decidete quale argomento trattare?

Non seguo un criterio preciso, in questa collana i libri nascono in vari modi. A volte, come nel caso di Cucinare le erbe selvatiche il libro è arrivato praticamente già fatto, in altri casi parliamo di riedizioni come per quanto riguarda Il Giappone in cucina e La cucina del Medio oriente e del Nord Africa. In altri casi, come per esempio per i libri di Marco Bianchi,  gli argomenti sono nati chiacchierando con lui, conosciuto casualmente, e i libri sono andati benissimo. Insomma, non esiste una regola generale – e questo è il bello del lavoro editoriale.

Vorrei capire bene il suo punto di vista tra cucina di tradizione, cucina fusion, etnica, sperimentazioni. Su di lei in questi anni ho letto moltissimo e personalmente mi sono fatta l’opinione che lei abbia un’idea molto semplice, (e quindi tutt’altro che banale) della cucina, è cioè che il tutto può essere riassunto e distinto in buona cucina e cattiva cucina, senza entusiasmi o penalizzazioni territoriali, culturali e storiche e che per lei la buona cucina è quella che non copre con grassi o zuccheri i sapori di base. E’ cosi?

Mia madre non era una gran cuoca è questa forse è stata la mia fortuna, la libertà mentale che mi ha salvato da riti familiari e tradizioni e che mi ha permesso di imparare altrove, mi ha permesso di leggere libri senza pregiudizi, e anche se -essendo di origine piemontese - amo ovviamente i buoni piatti della mia regione. Ho un atteggiamento totalmente laico rispetto al cibo. Tra una ricetta piemontese realizzata male e una ricetta afgana realizzata a dovere, scelgo senza dubbio quella afgana.

Per quanto riguarda gli eccessi di zuccheri e grassi, bisogna tener conto che una volta il grasso era destinato a quell’unico giorno di festa della settimana e che i grassi servivano anche per impedire ai cibi di attaccarsi al fondo delle pentole e padelle. Oggi la tecnologia con cui sono realizzate le pentole sostituisce questa funzione e quindi non à più necessario abbondare in grassi per cucinare. Essenzialmente dobbiamo partire dal presupposto che la cucina è tre cose. In primo luogo è un processo di trasformazione che serve a rendere i cibi non commestibili in commestibili: la patata o la farina a crudo, ma sono solo due esempi fra mille, necessitano di una trasformazione per essere assimilati dal nostro corpo. In secondo luogo è la necessaria sanificazione degli ingredienti, cioè l’eliminazione dei germi attraverso le alte temperature. In terzo luogo, è l’arte di assemblare gli ingredienti in modo da rendere una preparazione buona, qualunque cosa voglia dire, è una valenza culturale che cambia ogni giorno e non per tutti, individui e gruppi, è ovviamente uguale. Se teniamo saldi questi presupposti, va da sé che gli accessi di grassi e zuccheri non hanno nessuna funzione indispensabile. Sono un dato storico figlio di un’epoca e delle sue tecniche di cottura: ma non è più un dato reale, oggi. Anche se ogni tanto qualche piatto bello unto... lo apprezzo...

Il blog di Giorgio Negri è quello del titolare di una azienda che da 30 anni si occupa di commercializzazione di attrezzature per il barman e per lo chef, ma è anche il blog di un appassionato che ha la fortuna di lavorare con ciò che ama. Le chiedo pertanto a suo avviso quale importanza rivestono attrezzature corrette e funzionali per ottenere il meglio dal proprio lavoro di chef o di barman ?

Credo che la corretta attrezzatura abbia una grande, fondamentale importanza. Dai coltelli alle pentole  a tutte le moderne tecnologie che aiutano il professionista a razionalizzare tempi, costi e fatica. Certo se uno è un mago, un genio delle tecniche di cottura può permettersi di realizzare ottimi piatti anche con attrezzature più semplici o più rudimentali, ma dal momento che abbiamo a disposizione tutta la ricerca e la tecnologia per operare al meglio, e dal momento che di maghi ce ne sono pochi..., non c’è ragione per non utilizzarla.

 Crede che negli ultimi ,diciamo 20/30 anni, cioè da quando la parola tecnologia ha sostituito la parola esperienza e creatività è confusa con manualità, il mondo professionale degli chef abbia fatto un reale passo avanti, oppure a suo avviso, c’è poco di nuovo sotto il sole?

Credo che la cucina abbia fatto enormi progressi negli ultimi 30 anni. Tutta la cucina, da quella alta a quella di casa: sono convinto che in Italia non si sia mai mangiato bene come oggi. Credo che questo progresso, al di la degli aspetti tecnici e scientifici, sia stato anche facilitato da Internet, che ha reso tutte le informazioni disponibili in tempo reale. Prima il passaggio di informazioni teoriche e pratiche tra una cultura e l’altra, tra un continente e l’altro era piuttosto lenta, oggi, invece, se un cuoco coreano vuole approfondire una tecnica di cottura, la conoscenza di un ingrediente o una ricetta ligure o basca o peruviana o australiana lo può fare in pochi minuti, è questo è davvero una grande evoluzione.

Un ultima domanda, se mi vuole rispondere. Ultimamente il grande dibattito italiano sul futuro del cibo vede due orientamenti altrettanto interessanti, ma un po’ antitetici tra loro: da una parte c’è la cultura neo-ambientaliata e protezionista tutta protesa verso il prodotto agricolo di nicchia, vedi “prodotti da salvare” alla slow food, dall’altra un ripensamento del patrimonio agricolo italiano -spesso dismesso - in funzione di un nuovo sistema agroalimentare di tipo razionale dove le produzioni siano organizzate secondo necessità territoriali e nazionali. Lei come la pensa o perlomeno, come lo vede il futuro agroalimentre del nostro Paese?

Per me il cibo deve viaggiare. La cultura locale ha valore e senso se va per il mondo, solo così avviene lo scambio, l’approfondimento e attiva nuova conoscenza. Sono contrario al concetto di “Chilometro Zero”. Questo ovviamente non vuol dire che sono contrario ad un buon prodotto locale, anzi, ma deve essere poi offerto dovunque: c’è una parola, bellissima, che definisce questo approccio: glocal, cioè pensato localmente e offerto globalmente. Le porto come esempio il pollo francese di  Bresse, che è considerato il miglior pollo del mondo. E’ allevato in un territorio molto ristretto, è una tipicità locale, ma lo possiamo trovare in tutto il mondo. Anche in Italia ci sono zone che allevano polli di altissima qualità, pari se non migliori di quelli di Bresse, ma  io faccio fatica a trovare quei polli perfino a Milano. Il problema del sistema Italia è che il settore agroalimentare – ma anche in quello industriale in genere -  è basato su tante piccole realtà, che penalizzano la circolazione delle nostre eccellenze. E poi c’è la tradizionale incapacità italiana di consorziarsi.

Intorno al discorso del sistema agroalimentare organizzato ci sarebbero molte considerazioni importanti da fare, è un discorso molto complesso, le basti sapere che  l’agricoltura consuma il 60% di acqua rispetto all’industria che ne consuma il 30%. Questo dato da solo fa comprendere che forse ci sono alcuni aspetti del nostro ciclo agroalimentre su cui pensare o da ripensare.

 Chiudiamo con una domanda che apparentemente non c’entra, ma che a mio avviso è sempre fortemente rivelatore della vera natura della persona che sto intervistando. So che lei è un appassionato di musica, ma che musica ascolta?

Io ascolto poca musica contemporanea, sia pur con poche eccezioni. Amo la musica classica dove mi rifugio sempre con grande piacere.

 

Intervista a cura di Monica Palla

ALLAN BAY

E’ nato a Milano nel 1949. Si è laureato in economia alla Bocconi nel 1972.

Dal 1973 al 1982 si è occupato della vendita di macchine per la produzione di lampadine.

Dal 1982 al 1988 si è occupato di libri illustrati e di editoria scientifica, tecnica e medica (in Rizzoli e in Masson).

Dal 1988 al 1994 si è occupato di produzioni televisive.

Dal 1995 è giornalista nel settore eno gastronomico.

La cucina è sempre stata la sua grande passione, dai grandi ristoranti alla storia dell'alimentazione. Ha sempre cucinato, è il suo hobby prediletto. Non ama la tradizione, ama la commistione di tecniche e prodotti diversi. Ama molto le tecniche nuove di cucina, quelle dell’alta ristorazione, purtroppo non ancora sdoganate presso il grande pubblico.

Dal 1995 scrive di cucina sul Corriere della Sera. Cura la rubrica settimanale dei ristoranti milanesi su Vivi Milano.

Dal 1997 al 2009 ha curato una rubrica settimanale di cultura culinaria su Il Diario della Settimana.

Dal 2003 al 2006 è stato professore incaricato di cucina presso l’Università di Pavia, nell’ambito della Facoltà di Farmacia.

Dal 2004 scrive su Grandecucina, una rivista per cuochi professionisti edita da Reed Elsevier. Dalll’aprile 2011 ne è il direttore editoriale.

Dal 2004 scrive su Azione, la rivista ticinese della Migros.

Dal 2007 scrive su Style, il mensile del Corriere della Sera.

Dal 2011 scrive sul Corriere della Sera, al sabato una ricetta alla volta.

Con Feltrinelli ha pubblicato una fortunata serie di libri di cucina. Il primo è stato “Cuochi si diventa”, poi “Cuochi si diventa 2”, “Cuoco me” (per bambini), “La cucina degli altri”, “77 ricette perfette” e un romanzo scritto da quattro mani con Camilla Baresani, “La cena delle meraviglie”.

Cura la collana di libri di cucina “Il lettore goloso” per Ponte alle Grazie, 20 titoli pubblicati finora. Nel 2008 ha pubblicato con questo editore un reference book di 800 pag, illustrato, dal titolo: “La cucina nazionale italiana”.

Ha scritto con Patrizia Bollo, una dietologa, un libro di cucina per diabetici, “Le regioni in pentola e l’arte di mangiar sano” edito da Folini Editore per Novartis.

Con Salani ha pubblicato la serie di libri per bambini di Gabo e un libro di dietetica, “La dieta BaSo”, scritto con Nicola Sorrentino.

Per Reed Elsevier sta curando una serie di libri per cuochi dedicati alla cottura a bassa temperatura: il primo dedicato alla carne bovina, il secondo alle altre carni, il terzo al pesce.

Nel 2010 ha pubblicato con Mondadori “Nella mia cucina”, una descrizione dei principali attrezzi di cucina di oggi e di domani.

Nel 2011 ha pubblicato con il Corriere della Sera un libro sui ristoranti milanesi.

Ha scritto e interpretato una serie di lezioni di cucina per Gambero Rosso Channel dal titolo Cuochi si diventa.

Con Roberto Toso, un socio italiano attivo in Germania, progetta e sviluppa, anche fino alla stampa se richiesto, libri illustrati di cucina per il mercato internazionale.