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Intervista a Sebastiano Garbellini

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Sei una figura professionale eclettica, le tue competenze spaziano dal giornalismo di settore alla comunicazione, dalla collaborazione con vari locali al barman che ha avuto premi e riconoscimenti, all’esperto di birra. Hai una conoscenza molto approfondita del settore beverage, nell’accezione più ampia che si possa dare a questo termine, quindi sei sicuramente in grado di esprimere un’opinione a 360 gradi sull’ambiente del bere fuori casa. Come ti sembra la situazione? Secondo la tua vasta esperienza, la consapevolezza del bere bene in questo ultimo decennio è migliorata oppure assistiamo ad un imbarbarimento del concetto del bere?

«La situazione attuale è certamente più complicata rispetto a qualche anno fa, ma questo non deve essere un freno per il settore tanto meno l’alibi e la scusa per ogni azione che non sostiene i consumi, la diffusione della cultura e lo sviluppo del settore stesso. Non riesco a capire, però, perché accade esattamente questo. L’idea che mi sono fatto è che troppo spesso il mondo del fuori casa è visto esclusivamente come un business, ma quando si opera unicamente con quest’ottica si ottengono i risultati opposti. Mi riferisco in particolari ai locali e alle piccole aziende, a coloro che vivono quotidianamente a contatto con i consumatori e non alle grandi società o multinazionali che operano solo con la forza del marketing e della comunicazione. I gestori, i baristi, i distributori, gli agenti di vendita, lavorano ognuno nella propria direzione e difficilmente si vede fare fronte comune per raggiungere un obiettivo: ognuno pensa egoisticamente al proprio mestiere ignorando che oggi il successo si costruisce anche con delle partnership e dei progetti. Operare nel fuori casa significa rispondere sia alle esigenze lavorative, quindi di servizio, sia alle esigenze legate al tempo libero, quindi a bisogni spesso futili. Operare nel fuori casa significa confrontarsi quotidianamente con le persone e con i loro mutevoli stati d’animo. Oggi i consumi sono diversificati al massimo e hanno raggiunto una polverizzazione impressionante in quanto non si vuole rinunciare a nulla: quindi la disponibilità economica dedicata ai consumi fuori casa deve competere maggiormente con gli status symbol, con la moda, con la palestra e l’auto. La gente non ha smesso di spendere, ma cerca un buon motivo per farlo, soprattutto quando deve frequentare un locale. Per quanto riguarda la consapevolezza del bere bene credo che si stia assistendo ad un profondo divario: da una parte c’è un piccolo miglioramento e dall’altra ad un grande impoverimento e imbarbarimento. Dico piccolo, perché troppo spesso è più apparenza che altro, in quanto la cultura ha bisogno di un percorso di radicamento per avere un effetto duraturo, non può essere solo una moda. Anche l’attuale attenzione verso la storia del cocktail e il classic with the twist o la molecular mixologist e il barchef rappresentano un innalzamento della qualità del bere fuori casa, ma sono delle mosche bianche: troppo spesso sono poco aderenti alla realtà del mercato e trovano una risposta più misurata rispetto a quello che meriterebbero, perché non è facile e semplice proporle al grande pubblico. Il decadimento, invece, è la conseguenza diretta a quanto detto: le tendenze portano ad una estremizzazione del concetto impedendo l’effettiva crescita. Questo grazie al dilagante appiattimento della professionalità, alla mancanza di formazione e aggiornamento».

Bar e locali proliferano in tutte le grandi metropoli e nelle cittadine di provincia, ma assistiamo a nascite e morti rapide, locali che passano troppo in fretta di moda, che si inseriscono su un filone trendy e che non sono in grado di riconvertire l’attività quando la tendenza muta, a volte muoiono già a fine di una stagione. Secondo te la causa è dovuta a mancanza di professionalità e di esperienza oppure questo non deve preoccupare ed è proprio il futuro dei locali che saranno sempre più “temporary”, nascendo e mutando, sparendo e rinascendo con ritmi sempre più veloci?

«A mio avviso un locale non può avere una scadenza, semmai deve essere concepito con l’idea dell’evoluzione, ovvero deve essere in grado di rispondere al cambiamento delle esigenze o meglio ancora anticiparle o essere in grado di stimolare nuovi consumi. Le rapide chiusure sono effetto di differenti cause: la prima è la mancanza di professionalità che impedisce di affrontare seriamente il mercato e i suoi cambiamenti. Seconda cosa, le mode bisogna dettarle e non subirle: eventualmente si deve essere in grado di prendere ispirazione e fare propria una tendenza, magari costruendo una metodologia di lavoro. Infatti, il copia e incolla porta ad un impoverimento della proposta: se noi facciamo la fotocopia di una fotocopia l’immagine è sempre meno chiara. A proposito di professionalità, troppo spesso manca la volontà e ancor più l’umiltà di imparare: in questo mestiere non c’è mai una metà, semmai dei traguardi».

Per la tua professione assaggi spesso nuovi prodotti e nuove birre, ricerchi nuove idee di accessori ed attrezzature per migliorare la tua tecnica e la presentazione delle tue idee creative. Cosa ti intriga veramente in questo momento? Quali sono a tuo avviso i mercati, le aziende e le idee che ritieni più interessanti?

«Quello che mi intriga maggiormente è la ricerca dei dettagli e della perfezione nella presentazione di un drink, la pulizia dei movimenti durante il servizio e l’estremizzazione positiva del concetto di accoglienza e ospitalità. Amo tutti gli accessori da bartending in quanto rappresentano la personalità del barman, così come la scelta dei bicchieri, le tecniche di preparazione e la selezione dei prodotti nella bottigliera. I mercati meritevoli di interesse sono quello europeo, caratterizzato da un grande numero di professionisti in grado di ‘dettare legge’, anche se quello statunitense è sempre un grande riferimento e quello giapponese rappresenta un interessante punto di vista. Per quanto riguarda le aziende sono meno globale e apprezzo quelle che costantemente offrono ai professionisti la possibilità di trovare l’accessorio giusto: spesso comprare all’estero non è così semplice. Se devo fare dei nomi non posso non citare RG, non solo per l’amicizia che mi lega a Giorgio Negri, quanto per la professionalità e la costante ricerca che la sua azienda mette a disposizione di chiunque. Stesso discorso per il beverage: acquistare fuori dai nostri confini non è sempre conveniente e poi può comportare rischi fiscali. Idee: ritengo geniali quelle che rendono di facile approccio anche il concetto più estremo. Difficile sì, ma quanto ci si riesce non ce né per nessuno!»

Cosa ne pensi dell’editoria di settore? Che libro importante manca a tuo avviso nel panorama nazionale ed internazionale?

«Penso che le riviste dovrebbero essere un punto di riferimento per i lettori e avere la libertà di comunicare e a volte criticare. Assodato che la pubblicità alimenta il mercato, non bisogna incorrere il rischio di trasformare le riviste in cataloghi o house organ. Il lettore, oltre a informazioni commerciali, vuole trovare qualcosa di più: vuole spunti, idee, novità, vuole sapere e scoprire. Per questo internet oggi è lo strumento più utilizzato: con un click si apre un mondo. Oggi l’informazione deve essere globale in qualsiasi formato essa sia. Un libro che manca? Credo nessuno: semmai bisognerebbe eliminarne qualcuno! A parte gli scherzi, forse uno manca: quello che racconta il vero significato di questo mestiere, ma se non c’è forse un motivo ci sarà!»

Se tu potessi in questo istante diventare presidente di una nuova associazione di categoria, che associazione vorresti che fosse? Con quali obiettivi?

«Associazione? Un’altra?! Le associazioni rappresentano delle realtà insostituibili dove delle persone si aggregano per condividere una passione e un’idea, oltre ad avere un obiettivo comune. Quando gli interessi acquistano un valore maggiore, però, c’è il rischio che l’individualità prevalga e viene meno il senso comunitario. Credo, invece, che manchi un indirizzo a livello istituzionale. Mi spiego meglio. In questo settore ci dovrebbe essere un organo super partes che garantisca, invece, gli interessi dei consumatori assicurando la presenza di seri professionisti: non dobbiamo dimenticarci, infatti, che si somministrano alimenti e bevande, come recita la licenza, ma per averla basta veramente poco! Oggi chiunque e in qualsiasi momento della propria vita può aprire un locale: tante normative da seguire, giustamente, ma nessun riferimento alla preparazione professionale».

PER CONOSCERTI MEGLIO

Adesso parlaci di te, di cosa ti stai occupando in questo momento? Quali progetti, idee prossime o future?

«Attualmente mi sto occupando del mio nuovo locale, un cafè gourmet e cocktail room, un progetto in cui sto cercando di condensare tutte le mie esperienze e le mie idee, ma pure le mie aspettative come cliente. È comunque un punto di partenza e non di arrivo. Qui posso testare anche tutte le mie creazioni e le tecniche di servizio, quelle che poi propongo durante le mie consulenze e i miei corsi».

Film, attori e registi preferiti

«Amo tutta la cinematografia di Totò, adoro Al Pacino, Robert De Niro, Quentin Tarantino. Mi piace il cinema italiano, quello fatto con serietà. Se devo scegliere, preferisco vedere un thriller o una commedia».

Il libro che ha segnato la tua vita

«Oddio! Passiamo alla prossima domanda! Mi trovo sempre in imbarazzo a rispondere a questa domanda perché mi piacerebbe citare grandi romanzi e importanti autori, ma gli unici libri che leggo parlano di food & beverage».

La musica che ascolti?

«Spazio dalla classica alla moderna, passando per il jazz e l’hip hop: per ogni situazione c’è il brano giusto. Quando sono in auto solo Radio Deejay a meno che devo fare lunghi viaggi e mi preparo una colonna sonora adeguata».

Cosa non può mancare nel tuo frigorifero?

«Birra e vino! Da mangiare? Boh: cucino con quello che c’è».

Cosa ti indigna veramente e cosa invece ti coinvolge più di ogni altra cosa?

«La falsità, l’ipocrisia, l’egoismo, il menefreghismo e la sopraffazione a tutti i livelli. Mi coinvolge, invece, una bella risata e tutto ciò che è inedito e creativo: diciamo che sono come un bambino che si sorprende quando conosce qualcosa di nuovo».

Se qualcuno avesse piacere di entrare in contatto con te, come ti può rintracciare?

«Al mio locale a Brescia, Il Duca cafè gourmet e cocktail room in viale Duca degli Abruzzi, 31 oppure via e-mail all’indirizzo sebastiano.garbellini@bartender.it».

 

Sebastiano Garbellini dopo le esperienze dirette che l’hanno visto dirigere una piccola realtà alberghiera e ristorativa e collaborare con alcuni locali, tra cui ristoranti e caffetterie,  inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche di livello nazionale specializzate nel mondo del food&beverage, dell’intrattenimento e dell’ospitalità, occupandosi di ogni singolo aspetto che caratterizza questo mercato. Il suo continuo confronto con professionisti di alto livello e il ruolo attivo nel settore vengono completati con una costante formazione e un regolare aggiornamento. Diversi i successi raggiunti, tra cui 1° Classificato al Concorso Nazionale A.i.b.e.s. Ischia 2006 nella categoria barman emergenti e 2° Classificato alla Calvados Nouvelle Vogue International Trophies Normandia 2010 nella categoria giornalisti internazionali. Oltre ad essere free lance per Locali Top, Il Mondo della Birra, Drink’n Food, GBI, Bartender.it, mixologist magazine on line, e Barmood, network b2b, è degustatore dell’Accademia della Birra ed è chiamato spesso come relatore in diversi corsi di formazione e aggiornamento, seminari e giornate di degustazione. È stato trainer birra per Planet One bartending e training center. È il promotore e il direttore di professione:birra®. Infine, effettua consulenze e tiene corsi specificatamente per il canale horeca con attenzione sia ai singoli locali che alle grandi aziende.

Intervista a cura di Monica Palla