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Eating city: come nutriamo le città

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Che più della metà della popolazione mondiale abbia scelto di vivere in città non è una novità.

Che questo numero è destinato a crescere lo sappiamo.

La notizia ora è che le città non saranno più nutrite come prima, o meglio che sempre di più (e per fortuna) aumenta chi si interroga e cerca metodi e strategie per garantire alle nostre città cibi sani, buoni e amici dell’ambiente.

Il progetto Eating City rappresenta un bell’ esempio di chi sta iniziando a sollevare la questione.

Molto semplicemente Eating City è una rete di enti, organizzazioni, fondazioni e soggetti economici che, con lo studio e la condivisione di esperienze, si pone l’obiettivo di risolvere e capire come trasformare l’agricoltura urbana in un sistema di sviluppo economico e sociale. Una learning community che impara da sé stessa.

Di come raggiungere questo obiettivo si è parlato in una delle conferenze che hanno aperto il programma del Salone del Gusto e Terra Madre, dove sono state presentate alcune esperienze di come nutrire le nostre città.

Punto primo: educare e informare, chiarire che il cibo non è solo mera merce, ribadirne il valore economico e sociale, far acquistare la consapevolezza ai consumatori di poter orientare il mercato senza subirne le scelte, in stretta collaborazione con i produttori.

Slow Food ci ha messo lo zampino e a Milano ha avviato programmi educativi per le scuole, gli agricoltori e i cittadini con il progetto “Nutrire Milano, energie per il cambiamento”, avviato nel 2009. Il punto di partenza è stato proprio l’area agricola circostante, ignorata dai cittadini. I mercati agricoli hanno rappresentato l’occasione per far entrare la campagna nella città, oltre a rappresentare un luogo di incontro privilegiato tra produttori e cittadini.

Il risultato? Molte più persone hanno avuto l’opportunità di approfondire le esperienze sensoriali legate al gusto e imparare come, dove e quando viene prodotto il cibo che portano a casa ogni giorno. E magari a capire di più le ragioni del costo attribuito. A Pechino, il mercato contadino è stata la risposta all’ esigenza di creare uno sbocco per i tantissimi giovani coltivatori che sono ritornati in campagna proprio con l’ intenzione di praticare un’agricoltura sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Un movimento rurale rivoluzionario in una nazione come la Cina, che sul 7% delle terre arabili del mondo utilizza il 35% dei pesticidi consumati a livello globale. Il mercato è lo spazio ideale dove i contadini possono stabilire relazioni, spiegare le proprie scelte produttive, le difficoltà e gli alti costi connessi che meritano una giusta retribuzione. Un momento importante per far capire come un prezzo basso comporta degli alti costi, ambientali e sociali.

Creare consapevolezza e responsabilizzare i cittadini, rendendoli parte attiva di un processo di trasformazione e cambiamento, è quanto emerge anche dall’ esperienza norvegese della città di Stavanger, in cui gli orti urbani hanno preso il posto di industrie e fabbriche.

In Scozia invece abbiamo un bell’esempio di come un movimento partito dal basso abbia trovato il sostegno delle istituzioni che hanno avviato politiche alimentari illuminate. Le istituzioni giocano quindi un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura alimentare, basti pensare al peso del pubblico nella ristorazione collettiva che in Europa è pari al 70%. Appare chiaro come una governance a tutti i livelli possa influenzare positivamente la filiera, creare nuovi posti di lavoro derivanti dall’ agricoltura urbana e rendere accessibile il cibo sano e buono alle città.

Vanna Sedda

vannasedda@gmail.com