| Sul Bancone

A tu per tu con Luca Angeli

-

Ormai non è più un segreto: a noi piace intervistare i bartender che incontriamo sulla nostra strada professionale e rivolgergli domande sulla loro carriera; se poi hanno un curriculum come Luca Angeli del Four Seasons di Firenze allora è un vero piacere.

Qual è stato l’aspetto di questo lavoro che ti ha affascinato maggiormente, tanto da convincerti a intraprendere questa carriera?

Sin da piccolo sono stato portato alle gare AIBES della grande Sezione Toscana, dove mi sono subito innamorato delle movenze dei barman nel praticare le shakerate e dallo stile dei barman stessi.

Gran parte della tua esperienza è stata maturata negli hotel: qual è l’aspetto migliore di lavorare in questo contesto?

Diciamo che lavorando negli hotel hai la possibilità di avere a che fare con una dimensione quasi astratta della clientela, essendo composta per il 90% da ospiti internazionali e molto esigenti, dando così la possibilità di potersi esprimere e osare un po’ di più. D’altro canto la mia fortuna è stata quello di fare un’importante gavetta, partendo dal più piccolo bar di paese alla catena internazionale.

Sei al Four Season di Firenze da quasi quattro anni: hai trovato l’ambiente di lavoro che più ti si addice o hai progetti per il futuro che potrebbero portarti a cambiare?

Four Seasons è una catena eccezionale, che mi ha fatto e continua a farmi crescere anche grazie alle persone con cui sono a stretto contatto e che spronandomi mi lasciano esprimere le mie idee.

Nel futuro vedo sicuramente una crescita professionale, con stimoli nuovi sia in compagnie che al di fuori, vedremo…Com’è cambiato il lavoro per i bar all’interno degli hotel di lusso negli ultimi anni?

I grandi Hotel hanno aperto le porte ad un pubblico più globale, dando la possibilità quasi a chiunque di poter godere di un aperitivo, un light lunch o un afternoon tea, e portando ad innalzare la conoscenza dei clienti e la ricerca degli addetti ai lavori.

A differenza di altri, nonostante le esperienze all’estero, hai comunque deciso di tornare in Italia: cosa ti ha spinto a farlo?

Penso che a ogni età corrisponda un’esperienza del tutto soggettiva: quando ho deciso di partire io, era sicuramente per  imparare una nuova lingua e lavorare in ambienti che mi potevano lasciare un bagaglio importante, oggi purtroppo si va all’estero si per migliorare una lingua ma soprattutto per mancanza d’impiego in Italia, e di conseguenza gli stimoli sono diversi.

Qual è stata la più grande soddisfazione professionale della tua carriera?

Ogni giorno in cui vado a lavorare col sorriso e con la voglia di migliorare sempre, cercando di regalare emozioni ai clienti, trasmettendo alle nuove leve tutta l’energia che io per primo impiego.

Al di là dell’aspetto mediatico che stanno assumendo molti bartender oggi e che spesso attribuisce popolarità ingiustificate, quali pensi che siano le qualità che trasformano un semplice barman in un vero professionista?

Le qualità di un professionista si notano subito e sono sicuramente dovute all’esperienza, allo studio e alla naturalezza con cui si muove e si comporta; purtroppo il nome barman, bartender o  mixologist che sia, viene attribuito o indossato in maniera casuale o inadeguata, ma i cavalli buoni si vedono alla fine…

Ora passiamo a capire un po’ i tuoi gusti: qual è il distillato che preferisci miscelare?

Non ho un distillato preferito vado un po’ a sensazioni, sono molto istintivo: al momento mi piace lavorare il Whiskey e il Mezcal.

E il cocktail che meglio rappresenta il tuo modo di lavorare?

L’Old fahioned.

Se dovessi citare un professionista del settore di cui ammiri in particolar modo il lavoro, chi sarebbe?

Sicuramente la persona più importante per me a livello lavorativo è mia zia Annalia Fontanini, ma la mia fortuna è stata quella di lavorare con grandi persone prima che grandi professionisti, ma che non ringrazio ora perché mi preferirei farlo a fine carriera.

Una volta che finisci di lavorare e decidi di stare dall’altra parte del banco, dove preferisci andare a bere, non necessariamente a Firenze?

Avendo girato un po’ per l’Italia ho tanti luoghi, di amici e non, da menzionare. Sicuramente in Valle d’Aosta prediligo il Bar Sport di mia zia Annalia e l’Old Valley dall’amico Luigi Gal; a Milano ce ne sono tanti, dal Bamboo Bar gestito da Mattia Pastori, al Park Hyatt di Andrea Rella, fino al Rita di Edoardo Nono; senza dubbio a Roma il Jerry Thomas e a Bologna il Nu Lounge; a Firenze l’Art Bar del signor Paolo e il Fusion Bar dall’amico Marco Vezzosi; e poi il Caffè Giardino a Forte dei Marmi, il Caffé Mazzini del grande Riccardo Evangelisti a Massa e il Cocktail Bar Eliseo di Lucio Carli a Sarzana; infine impossibile non citare Davide Garazzini del Pachanka a Santa Margherita.

Lo scorso luglio hai vinto la tappa italiana della Rose’s Cup insieme a Luca Marcellin e Flavio Esposito: stai già pensando alla creazione che porterai alla finale?

Ho qualche idea in mente, ma come dicevo sono molto istintivo quindi staremo a vedere, quello che è certo è che ho la fortuna di avere grandi compagni di viaggio.