| In cucina

Intervista a Chiara Rizzi, chef

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La tua storia non è di quelle che partono con il classico sogno nel cassetto, con la consueta tenacia della ragazzina che sogna fin da piccola di avere un proprio ristorante, ma non per questo la tua non è stata una vera scelta, anzi forse proprio per questo, la tua è davvero una scelta molto forte. Ci racconti un po’ il tuo percorso e quando è avvenuta la decisione di lanciarti in questa professione?

Capita, ogni tanto, che mi soffermo un po’ di più a chiacchierare con qualche cliente curioso (è la razza che preferisco) e, alla fine, arriva sempre una domanda: perché ho scelto questa professione dopo un iter di studio così lungo e impegnativo e, per di più, che non ha nulla a che vedere con la cucina. Penso di aver dato almeno una decina di varianti, ad un certo punto, però, ho pensato davvero e seriamente a questa cosa, arrivando a vedere ciò che era sempre stato lì.... Tutti i percorsi fatti, le persone conosciute, i maestri incontrati o scelti, i libri letti o quelli ancora da leggere, i film veduti e le musiche ascoltate, i paesaggi ammirati e i viaggi intrappresi, gli odori sentiti, i sapori esperiti sono stati sempre rivolti ad un unico scopo: arrivare qui, al mio “fare”. E questo è il percorso filosofico. Il mondo della ristorazione mi ha sempre affascinato: il contatto con le persone, la comunicazione, il dispensare piccoli o grandi piaceri..... poi l’incontro con alcuni artisti, scultori soprattutto, con cui si parlava del concetto di creatività, ad un certo punto mi hanno chiesto per quale motivo non avevo ancora scelto il mio materiale espressivo visto che ero una creativa. Ci ho pensato, ho provato, ho sperimentato e poi ho capito che poteva essere il cibo e poi era arrivato il momento di confrontarmi con il mercato, era il 1998. 

La tua formazione umanistica, le tue frequentazioni culturali, teatrali, musicali, artistiche, mi fanno pensare che per te la cucina  non sia altro che una delle tante angolazioni da cui si può guardare il mondo e attraverso cui esprimersi creativamente, intellettualmente e anche fisicamente, manualmente, come lo può essere dar vita ad un quadro o salire tutte le sere su un palcoscenico. Come tutte le manifestazioni artistiche è un gesto d’amore verso gli altri, una proposta di comunicazione….. mi sbaglio?

 No, non ti sbagli, i primi tempi lo dicevo spesso: vado ad aprire il sipario del mio teatro privato, a dir la verità lo faccio anche adesso; capita che durante la preparazione della linea di cucina mi lascio sfuggire espressioni come: “questo piatto in scena farà un figurone”. Una volta una giovane signora mi aveva chiesto informazioni su un piatto del menù, era una “minestra di verze e calamari”, ho risposto “E’ molto Zen” poi mi sono accorta dello sguardo allibito e ho cercato di spiegare il piatto in modo semplice così come ho definito “degno di Caravaggio” un piatto in cui i colori erano veramente caravaggeschi. Quando poi trovo coloro che parlano il mio stesso linguaggio sono una persona felice, ma lo sono di più quando trovo quelli che non lo conoscono ma lo vogliono capire e imparare.

“Chef anomala” è un termine che ti piace o che ti infastidisce? Perché questo è l’aggettivo che ho riscontrato più frequentemente nel leggere di te.

“Chef anomala”... più che altro mi fa sorridere, un po’ perché le parole le puoi usare in tanti modi e capirle in mille altri; allora mi viene quasi spontaneo farci le battute: ma sono anomala come l’onda? chissà se provoco danni.... oppure: se la mia anomalia è dovuta alle mie esperienze precedenti mi chiedo se è anomalo che gli chef siano anche persone colte però mi risulta che tantissimi miei colleghi siano persone che leggono, viaggiano, vanno a teatro.... ma penso che l’anomalia di cui si parla sia dovuta anche al fatto che non sono “figlia d’arte” (anche se mi ritengo tale: mio padre era un casaro di Grana Padano, di quelli che “sentivano” la consistenza e lo spessore della grana in cottura passando la mano nella cagliata spezzata) o che non sono stata allieva di chef famosi e pluristellati..... I veri maestri sono quelli che spiegano la differenza tra sentire ed ascoltare, tra vedere e guardare, non importa quale sia il loro lavoro e alla fine importano le scelte fatte e ciò che si è diventati.

Ho letto una tua frase che mi ha molto colpito, una riflessione molto profonda anche se riassunta con leggerezza e sintesi. Da qualche parte, non so in quale occasione, ma so che hai affermato che: cucinare non può prescindere dall’amore verso gli altri perché quello che si cucina diventa parte di un altro essere umano e questo fatto è una grande responsabilità. Ti faccio davvero i complimenti per questo concetto (che spero di aver riportato in maniera corretta) che trovo in esatto equilibrio tra spirito e materia e quindi perfetto. E’ davvero una responsabilità che senti e che affronti ogni giorno nella tua cucina?

“Noi siamo ciò che mangiamo”, questa frase l’ho sentita per la prima volta quando avevo 24 anni, ho dovuto affrontare un periodo molto faticoso a livello emotivo e lo stress mi aveva procurato problemi di salute decisamente importanti, ho risolto con l’omeopatia, rivolgendomi a medici veramente seri che mi hanno spiegato che la medicina omeopatica, per essere efficace, deve partire da un organismo in equilibrio e l’unico modo per raggiungere e mantenere questo equilibrio è capire e conoscere ciò che si mangia e come si mangia, ho molto ristretto il concetto, ma per me fu illuminante anche perchè dopo un anno di attenzioni alimentari la mia salute era decisamente migliorata. Dopo aver sperimentato su me stessa quale potere ha sul nostro organismo il cibo quotidiano, mi sento quasi in obbligo usare queste “cortesie” ai frequentatori dei miei tavoli.

 Sei uno degli chef emergenti più interessanti nel panorama nazionale, hai molti occhi puntati si di te e sulle tue proposte culinarie, tuoi piatti sono apprezzatissimi, perché recuperano il sapere che hai conosciuto in famiglia e lo movimentano per renderlo fruibile ai più e per far provare loro sapori nuovi, anche se appartenenti nella loro forma primaria alla memoria storica del territorio. Ci racconti velocemente come nascono le tue ricette? Cosa salvi e cosa modifichi generalmente rispetto alla ricetta tradizionale?

Delle ricette tradizionali cerco di mantenere il sapore e il profumo, quello che ti fa arrivare pensieri piacevoli o ricordi gradevoli quando lo senti: un “effetto madeleine” come direbbe Marcel Proust. Ma per il principio enunciato prima, se so che un determinato piatto è di difficile digestione a causa di cotture classiche troppo lunghe oppure la ricetta tradizionale prevede l’uso di troppi grassi allora mi “aiuto” con le nuove tecniche: la cottura sottovuoto, che non richiede l’aggiunta di grassi o quella a bassa temperature che non spezza le molecole degli alimenti. Poi la curiosità mi ha spinto verso spezie, erbe, alghe, e tutto quanto può servire per raggiungere un equilibrio o a rendere un piatto classico più brioso e divertente. Mi piace anche coniugare elementi molto territoriali, come le erbe selvatiche che crescono nei campi attorno al ristorante, con ingredienti che, nella bassa padana, non ci sono; allora nascono piatti come gli “spaghetti con la piantaggine e le tre bottarghe” o la “minestra di manioca, fagioli risina e cubetti di pecorino toscano

 Quando un ospite del tuo locale esce dopo aver degustato i tuoi piatti, cosa ti farebbe davvero felice che stesse pensando?

“Sono proprio contento: mi sono divertito, è stata una bella esperienza, ho imparato, sto bene e voglio venire qui spesso!”

 Ad una persona che oltre a mirabile chef, ha avuto esperienze approfondite nel mondo del teatro e dell’arte, della musica e della letteratura: non posso non fare almeno una domanda che spazi oltre la cucina. Si parla tanto di binomio arte cucina, musica cucina, teatro cucina…. poi il tutto spesso si riduce ad eventi dove qualcuno dipinge, recita o suona mentre qualcun altro cucina…. ma secondo te non sarebbe possibile far capire questi sottili legami culturali in modi meno banali? Hai qualche idea in proposito ? Accarezzi qualche progetto in questa direzione?

Credo che per far capire questi legami occorra iniziare il discorso molto più lontano della rappresentazione finale cioè qualcuno che suona/dipinge/canta/recita e un altro che cucina. Secondo me occorre partire proprio dal concetto di creatività. Anni fa avrei voluto organizzare un convegno (idea che non ho abbandonato) dove il tema era proprio il percorso del processo creativo all’interno delle varie espressioni artistiche tra cui anche la cucina, proprio perchè sono convinta che è da qui che nasce il legame, poi è solamente una scelta di tecniche, materiali e luoghi.

Se qualche professionista che segue questo blog avesse piacere di contattarti, ci lasci qualche riferimento e se frequenti i social network anche queste indicazioni?

L’Osteria di Chiara Rizzi - Caput Mundi è a Viadana (MN), il mio indirizzo mail è chiara@caputmundi.mn.it  ho un profilo su facebook

Intervista a cura di Monica Palla